Sull’acqua

Le voci degli altri mi arrivano come

le ferite delle ombre che tagliano

la terra in un mezzogiorno di luglio;

tracciano geometrie definitive

per l’attimo della visione e producono aspetti crudeli

in cui nulla è suggerito ma tutto indicato,

come la forma delle cose che malgrado loro esistono.

Come poter restare quando Gaulthier

cerca le sue matite per disegnarmi e impreca non trovandole

(mi mostra i suoi schizzi, dei ritratti in absentia),

o quando fuori dalla discoteca sul Périphérique

una ragazza si avvicina

je n’aurais jamais osé te le dire, tu es trop beau,

e poi partendo con gli amici verso un’altra notte

don’t forget you’re a rockstar

dice –

I chirurghi sostengono che una ferita

emani luce propria; una speculazione pericolosa

ma piena di fascino,

perché l’anima è piccola e ciò che dice io

non è né questo né quello,

mi sembra di saperlo come l’istante di movimento

in cui un pesce finito nelle reti a strascico di un peschereccio

sprizza via divincolandosi, ancora prigioniero già libero

e il mare è profondo e blu

e mi pesa sulla testa come una gioia troppo grande per vivere.

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